Di seguito la sintesi dell’articolo a cura del nostro ricercatore Luca Corlatti e pubblicato rivista scientifica internazionale “Journal of Zoology”.
Come può una specie ben adattata agli ambienti d’alta quota subire declini numerici locali? Quali sono i meccanismi che si celano dietro a questo fenomeno? Ecco gli interrogativi che hanno portato i ricercatori del Parco Nazionale dello Stelvio ad indagare il calo di camoscio alpino nel settore Trentino.
Fondamentale per lo studio è stata la disponibilità di dati numerici, raccolti dal personale del Parco per oltre 34 anni, tra il 1984 e il 2018. I dati a lungo termine sono essenziali per conoscere le dinamiche di popolazione, cioè le relazioni tra parametri demografici, come il tasso di crescita, e i potenziali fattori che possono influenzarli. “I fattori possono essere molti ed anche interagire tra loro. La vera sfida è riuscire ad identificarli” sostiene Luca Corlatti che ha contribuito alla realizzazione dello studio “Naturalmente, il primo elemento che è venuto in mente è stato il cambiamento climatico”. Nel breve periodo, infatti, le specie possono rispondere al cambio climatico in diversi modi. Per esempio, possono concentrare il tempo speso per il foraggiamento nel momento più freddo della giornata, o possono spostarsi in zone dal clima più favorevole, ad altitudini più elevate. Queste strategie non sono però prive di rischi. Gli animali potrebbero perdere le opportunità di foraggiamento, sia a causa della riduzione del tempo che delle aree alimentari disponibili, portando all’eventuale declino nelle popolazioni, come osservato nel camoscio.
“Dopo il picco nel numero di camosci a metà degli anni ‘90, abbiamo evidenziato una tendenza negativa che dura fino ad oggi; questo cambiamento sembra essere troppo drastico per essere associato solamente al cambiamento climatico. Deve esserci in gioco un altro fattore” spiega Corlatti. Secondo recenti studi condotti nell’Italia centrale, i fattori che concorrono alla diminuzione del camoscio appenninico sono due: un competitore, il cervo europeo Cervus elaphus, e il cambiamento climatico. Può essere accaduto lo stesso per il camoscio alpino?
Nei primi anni ‘80 il cervo era solo una presenza sporadica nel parco e i camosci erano abbondanti. Dopo una fase iniziale di crescita comune, a metà degli anni ’90, la popolazione di cervo ha raggiunto densità elevate, mentre quella di camoscio ha iniziato il suo declino. “Questa tendenza ci ha fatto ipotizzare un impatto negativo del cervo sul camoscio attraverso qualche forma di competizione interspecifica” chiarisce Corlatti “tuttavia, la competizione è una delle cose più difficili da dimostrare in ecologia”.
I risultati delle analisi, recentemente pubblicati da Journal of Zoology, una delle più importanti riviste scientifiche internazionali nel settore della zoologia, rivelano inequivocabilmente che il meccanismo che più probabilmente contribuisce al declino del numero di camosci è l’aumento della popolazione di cervo, supportando l’ipotesi di interazioni interspecifiche tra le due specie.
“Alcuni dettagli di questa competizione fra cervo e camoscio rimangono da chiarire” commenta Corlatti “ci si potrebbe chiedere, per esempio, quale segmento della popolazione di camoscio – maschi, femmine, piccoli? – sia maggiormente influenzato dall’aumento della densità di cervo”.
Nonostante nessuna specie di camoscio sia in pericolo di estinzione, molte sottospecie sono minacciate. Comprendere i processi su cui si basa la dinamica temporale sarà di fondamentale importanza per una gestione consapevole delle popolazioni.
La competizione con altre specie è ragione di preoccupazione e dovrebbe essere seriamente considerata soprattutto quando interventi umani, come reintroduzioni di competitori superiori, vengono presi in considerazioni in zone abitate dal camoscio.
L’articolo completo al link: https://zslpublications.onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/jzo.12716
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